Olio su tela, c. 1590
Inv. 19. Dalla Cattedrale.
Già attribuito al mantovano Teodoro Ghisi ma più di recente ritenuto di un artista cremonese, peraltro non individuato, il dipinto offre un eloquente esempio di come la pittura “parli” per simboli. La scena è chiaramente divisa in due parti. Sullo sfondo, il cielo nuvoloso al tramonto e le rovine di una monumentale città esprimono la fine di un mondo, riconoscibile per quello dell’antico impero romano (i monumenti sono il Settizonio e, pare, la basilica Emilia e le terme di Caracalla). A quella fine corrisponde un nuovo inizio, con la nascita del Bambino in primo piano, del quale si dice che è un uomo (sta tra le braccia della madre) ma anche un re (il prezioso drappo di velluto con frangia d’oro) e Dio (lo richiama discretamente l’albero cui il drappo è appeso: la quercia è simbolo di immortalità). Il rosso del drappo allude al sangue che il neonato verserà per la redenzione del mondo, mentre le spighe tra la paglia su cui poggia rimandano al pane eucaristico, nutrendosi del quale i fedeli beneficiano della redenzione.
La complessità del soggetto suggerisce per il dipinto un titolo meno generico, quale potrebbe essere appunto “La redenzione” o, per l’evidenza data alla figura di Maria, “La Madre del Redentore”.